Sonetto, “Sonet”, e la grancassa francese

grancassa

 

Tra la fine del XIX ed gli inizi del XX secolo, le origini e, soprattutto, la paternità del sonetto  suscitarono aspre controversie tra gli studiosi italiani e francesi, per via del fatto che alcuni di questi ultimi, evidentemente affetti da eccesso di campanilismo, dichiararono, senza la benché minima esitazione, che il sonetto fu un’ “invenzione”  dei poeti provenzali. La cosa bruciava parecchio agli italiani,  anche perché la “diceria”, sparsa a larghe mani dai francesi, stava affermandosi a livello internazionale.

 

Infatti, nel The Scots Magazine del 1776 si legge  che “ i trovatori furono i primi inventori del sonetto, che in seguito entrò in voga  anche tra i poeti italiani” . Oggi sappiamo tutti che le origini del sonetto risalgono senza dubbio alcuno a Jacopo da Lentini, il famoso Notaro della Corte di Federico II, ma, a quei tempi,  le cose erano tuttavia  molto incerte, per cui erano ancora molti, in Francia, ad accreditare le asserzioni di Estienne Pasquier, che, agli inizi del XVII, aveva scritto, nel suo francese di allora (che è stato ritoccato un po’ alla “moderna” per non renderlo indigesto, oltre che nei contenuti, anche nella forma):

“Notre poésie française consiste  en  Dialogues, Chants Royaux, Ballades, Rondeaux, Epigrammes, Elégies […]  nous introduisîmes  entr’autres nouvelles espèces de Poésie. Les Odes […] et les Sonnets que nous tirâmes des Italiens. Mot toutefois qu’ils tiennent de notre ancien estoc”  [“La nostra poesia francese è costituita di Dialoghi,  Canti Reali, Ballate, Rondeau, Epigrammi,  Elegie […] E abbiamo introdotto anche  altre nuove forme di poesia […] Le Odi e i Sonetti, che abbiamo tratto dagli italiani. Anche se dobbiamo pur dire che essi hanno preso questa parola dal nostro antico estoc“, (che è come dire, dal francese antico)].

 

Ma  un aiuto insperato in tutta questa deplorevole diatriba ci venne da parecchie parti,  persino  dalla stessa Francia, ma, soprattutto, dalle Isole Britanniche, dove la teoria delle origini “provenzali” del sonetto fu rigettata d’imperio dall’intervento prestigioso di Everett Ward Olmsted,  in qualche modo surrogato anche  da  Paul Meyer. Nei loro studî,  Olmsted e Meyer dimostrarono che  le “rivendicazioni” francesi sul sonetto erano del tutto illegittime, e che esso era, al contrario, una forma metrica sorta in Italia, e non un’invenzione dei poeti provenzali. Inoltre, essi sottolinearono che tutta la scabrosa faccenda era sorta dall’accettazione acritica di evidenti falsi storici presi incautamente per buoni:

 

“La maggior parte degli scrittori francesi, sottolineava Olmsted,  credettero nell’origine provenzale del sonetto perché furono in gran parte influenzati dai lavori falsi ed erronei sulla vita dei poeti Provenzali  redatti da Jean de Nostradamus nel 1575, e riportati pari pari da Cesar de Nostradamus, suo nipote, nella sua Storia e  cronaca di Provenza nel 1614. Louis de Veyrieres, nella sua eccellente monografia sul sonetto, lavorò molto bene per indebolire l’autorevolezza di quest’opera, come ben hanno fatto anche Tiraboschi, Rochegude, Paul Meyer e più recentemente, Welti. Sembra davvero, concludeva Olmsted,   che la falsificazione e l’inganno fossero tratti distintivi di questa  famiglia” (Everett Ward Olmsted,  The Sonnet in French Literature. Traduz. mia).

 

Dal canto suo Paul Meyer aveva da par suo  confermato le ipotesi di falsificazione dovute a  Nostradamus riguardo a diversi poeti provenzali, sottolineando come la scrittura su un  manoscritto fosse riferibile al XVI secolo:

 

“L’écriture, qui est nette,  paraît devoir être rapportée au milieu à la seconde moitié du XVI  siècle. Elle m’a paru être identique à celle des ébauches de table qui ont été tracées sur des de garde tant à la fin qu’au commencement du ms. Selon feu Lambert, le regrettable bibliothécaire de Carpentras, cette écriture serait celle de Jehan [sic] de Notre-Dame, auteur des Vies des poètes provençaux ». [ “La scrittura, che è netta e chiara, sembra si possa riferire più o meno alla seconda metà del XVI secolo. Essa infatti m’è parsa essere identica a quella degli abbozzi che erano stati vergati sui fogli di guardia tanto alla fine che all’inizio del manoscritto. Secondo il compianto Lambert, lo sfortunato di bibliotecario di Carpentras, la scrittura sarebbe quella di Jean de Notre-Dame, l’autore delle Vite dei poeti provenzali”. Traduz. mia].

 

Olmsted sottolineò inoltre un altro dato evidentissimo, ossia che il termine provenzale sonet e l’italiano sonetto si riferiscono a due varietà completamente diverse di forme metriche. Nel provenzale antico la parola sonet era associata  semplicemente ad una canzone di carattere popolare,  con una disposizione strofica molto semplice. Il  termine sonetto si addiceva per converso ad un tipo particolare di strofe poetica, costituita di quattordici versi endecasillabi. Fu pertanto agevole concludere che il sonetto, come normalmente lo si intende, è certamente di origine italiana.

 

Pertanto, secondo Olmsted,  i francesi erano sostanzialmente “male informati”,  perché non avevano compreso il reale significato del termine provenzale sonet, ritenendo, erroneamente, che esso avesse lo stesso significato dell’italiano sonetto; mentre  i sonets provenzali avevano sicuramente un contenuto popolare, nonché una struttura molto diversa dai sonetti italiani.  In più, i  sonets all’ “italiana” apparvero in Francia  soltanto ad iniziare dal XV e dal  XVI secolo, e, nel francese antico, sonet significava semplicemente una “poesia breve”.

 

Siamo compiaciuti che le cose fossero andate a buon fine per noi. Ma, in casa nostra, i nostri classici cinquecenteschi, che di solito mettevano le mani un po’ dappertutto, cosa ne pensavano delle scaturigini prime del sonetto? In questo senso, Ludovico Dolce ebbe a osservare che sonetto significa semplicemente  “canto breve”, intendendo, tuttavia,  “più breve” rispetto alla Canzone:

 

“Quanto al suo nome, spiegava il Dolce, esso è Diminutivo di Suono; e Suono da gli antichi è ricevuto per Canto: onde altro non vuol dire Sonetto, che  picciol Canto. & invero è picciol Canto, se a paragone delle Canzoni lo consideriamo”. Il sonetto, pertanto, sarebbe una forma poetica “più breve” della Canzone, cosa di cui abbiamo altresì prestigiosa testimonianza anche nel Divin Poeta, il quale, nella Vita Nuova, aveva estrapolato un suo sonetto da una Canzone, definendola “Frammento di canzone” (Sì lungamente m’ha tenuto amore). E al proposito C. Witte  commentava:

 

“La quarta di queste poesie non è detta Sonetto, ma Frammento di Canzone; osservando però attentamente i quattordici versi di cui questo frammento si compone”.

 

Ma tornando infine sulle origini del sonetto, forse i francesi avrebbero potuto  risparmiare a noi possenti arrabbiature, e a se stessi figure barbine anzichenò, specialmente se avessero tenuto nella debita considerazione quanto scrissero sia un loro connazionale, M. Richaud,  sia uno studioso belga, Eugène Van Bemmel, sull’argomento.  Quest’ultimo,  ancora nel  1846, aggiunse quanto si leggerà sotto a proposito del Sonetto:

 

“ Outre les pastourelles, les sirventes et les tensons, les troubadours ont une multitude de formes poétiques,  aussi que il est chez eux le mécanisme du vers.  Parmi tous genres,  je citerai particulièrement la chanson provençale (cansos),  le sonnet (sonet) qui n’a qu’un rapport de nom avec le sonnet italien »  (« Oltre alle  pastorelle, i sirventesi e le tenzoni, i trovatori coltivarono  una notevole varietà di forme metriche, poiché essi furono  maestri nel verseggiare. Tra tutti i generi, menzionerei  in maniera particolare la canzone provenzale (cansos), il sonetto (sonet), che altro non possiede se non   il  nome correlato al sonetto Italiano”. Traduz. mia).

 

M. Richaud, una ventina d’anni dopo, concluse:

 

“Les troubadours ont donné ce nom de Sonnet à de petits poèmes, chantés comme la chanson et accompagnés comme elle du son des instruments, sans être assujettis encore à aucune forme particulière” [ “I trovatori affibbiarono  il nome di sonetto a brevi poesie, cantate come la canzone, e accompagnate, alla stregua di  esse,  dal suono di vari strumenti, ma essi [i sonetti] non erano  soggetti ad alcuna forma metrica particolare”]. (Traduz. mia).

 

Ma fu di nuovo un inglese, Ernest H. Wilkins,  nel 1915, a dare il suggello definitivo all’annosa questione delle origini del sonetto:

 

“I poeti della Corte di Federico II sono doppiamente degni di menzione particolare per essere stati da un lato il primo gruppo di scrittori italiani, e dall’altro i primi che videro tra di loro  riuniti anche i creatori dei primi sonetti ancora esistenti. Venticinque sonetti sono attribuiti, con ottime ragioni, al  leader di quel  gruppo di letterati, Giacomo da Lentini.  Altri sei sonetti sono attribuiti,  per altrettante buone ragioni, ai membri del gruppo che sembrano essere stati contemporanei di  Giacomo: tre all’abate di Tivoli, e a Jacopo Mostacci; uno a Pier delle Vigne, e uno a Monaldo d’ Aquino. I sonetti dell’Abate si sostanziano  per una tenzone di cinque sonetti corresponsivi con Giacomo, l’Abate avendo scritto il primo, il terzo e il quinto di quei sonetti”.

 

“Quelli di Mostacci e di Pier delle Vigne furono redatti nel corso di in una tenzone di tre sonetti con Giacomo: la tenzone si apre con il sonetto di Mostacci, di cui le altre due poesie costituiscono  la risposta. Il sonetto di Monaldo è indipendente. La contemporaneità fra Monaldo e Giacomo è stabilita dal fatto che due sonetti sono attribuiti da alcuni manoscritti a Giacomo,  mentre in un altro manoscritto a Monaldo; la  prova è in sé deboluccia per darci  una sicurezza assoluta, ma essa è altresì  l’unica prova di cui disponiamo per quanto riguarda la circostanza  in cui  Monaldo li poté redigere. Questo gruppo di trentuno sonetti costituisce, per così dire, il gruppo dei sonetti più antichi”.

 

“Essi furono scritti, presumibilmente, tra gli anni che corrono tra il  1220 e il 1250,  il periodo di massimo splendore culturale della  Corte federiciana. Non risulta esistano sonetti scritti anteriormente all’età di Federico II. Esistono tuttora quattro altri sonetti prodotti da poeti del gruppo federiciano; ma, in ogni caso, c’è motivo di ritenere che esista una produzione poetica più tarda rispetto al corpus delle poesie dello stesso periodo federiciano. Una è quella relativa a Re Enzo, nato nel 1225. V. La poesia di Giacomo da Lentino, a cura di E. F. Langley, Cambridge, 1915. I Sonetti al numero III, V, VII, IX-XXX, e ai numeri  XXVIII e XXX sono attribuiti da un  manoscritto a Monaldo d’Aquino; mentre il numero XXIX è attribuito da un altro Manoscritto a Petri Morovelli” (Ernest H. Wilkins, The Invention of the Sonnet. Traduz. mia. Per il testo originale, V. sotto nelle Fonti).

 

E con ciò, la questione è definitivamente  chiusa, e l’ “ombra” di Jacopo da Lentini, se mai fosse stata disturbata da sì gran batter di grancassa dei francesi, può dormire sonni tranquilli.

 

Fonti:

 

“Of the Provencal Poetry”, in The Scots Magazine, Edinburgh, 1776, (November , 1796), Vol. XXXIV,  p. 577.

 

Paul Meyer, Les derniers troubadours de la Provence, Paris, Librairie A. Franck, 1871, Extrait de la  Bibliothèque de L’École des Chartes, Tomes XXX et XXXI, p. 13.

 

Everett Ward Olmsted,  The Sonnet in French Literature, New York, Ithaca, 1897: “Most of the writers believing in the Provencal origin of the sonnet have been largely influenced by the very false and erroneous work on the lives of the Provençal poets written by Jean de Nostradamus in 1575, and copied by Caesar de Nostradamns, nephew of the preceding, in his History and Chronicle of Provence in 1614. Louis de Veyrieres, in his excellent monograph on the sonnet, has done much to weaken the authority of this work, as have also Tiraboschi, Rochegude, Paul Meyer, and more lately, Welti. It seems that falsification and trickery were traits of the family.” (p. 7).

 

Lodovico Dolce, “Del Sonetto”, in Osservationi del Dolce dal medesimo ricorrette et ampliate,  In  Vinegia, Appresso Gabriel Giolito de’ Ferrari, e Fratelli,  MDLVI [1556], p. 200.

 

C. Witte, “Prolegomeni”, in La Vita Nuova di Dante Allighieri [sic], Leipzig, F. A. Brockhaus, 1876, p. XX e p. 84.

 

Les Œuvres d’Estienne Pasquier, Conseiller & Advocat General du Roi en la Chambre des Comptes de Paris, Contenant ses Recherches sur la France, Amsterdam, Aux dépens de la Compagnie des Libraires Associez, MDCCXXIII [1723], Liv. 7, p. 703. Testo originale : « Nostre Poësie Françoise constoit en Dialogues, Chant Royaux, Ballades,  Rondeaux,  Epigrammes,  Elegies, […] introduisismes entr’autres deux nouvelles especes de Poësie. Les Odes […] & les Sonnets que nous tirasmes des Italiens. Mot toutesfois qu’ils tiennent de nostre ancien estoc ».

 

De la langue et de la poésie provençales, par Eugène Van Bemmel, Bruxelles, A. Vandale, Librairie, 1846,   p. 189.

 

M. Richaud, «Histoire du sonnet, sa grandeur et sa décadence», in Entretien littéraire, Cahors, 1867, p. 5.

 

E. H. Wilkins, “The Invention of the Sonnet”, in Modern Philology, 1915, 13, pp. 463-464, e nota 1:

“The poets of the court of Frederick II are doubly entitled to remembrance: they are the first group of Italian writers; and they include in their number the authors of the earliest extant sonnets. Twenty-five sonnets are attributed on good grounds to the literary leader of the group, Giacomo da Lentino.  Six other sonnets are attributed on good grounds to members of the group who seem to have been contemporary with Giacomo : three to the Abbot of Tivoli, one to Jacopo Mostacci, one to Piero delle Vigne, and one to Monaldo d’ Aquino. The sonnets of the Abbot occur in a five-sonnet tenzone with Giacomo, the Abbot writing the first, third, and fifth sonnets.”

“Those of Mostacci and Piero delle Vigne occur in a three-sonnet tenzone with Giacomo : the tenzone opens with the sonnet of Mostacci, to which the other two poems are replies. The sonnet of Monaldo is independent. The contemporaneity of Monaldo and Giacomo is indicated by the fact that two sonnets are attributed by certain manuscripts to Giacomo and by another manuscript to Monaldo, slight evidence, to be sure, but the only evidence we have as to the time when Monaldo wrote. These thirty-one sonnets constitute, as well as it may be defined, the group of the earliest sonnets.”

“They were written, presumably, within the period 1220-50, the period of Frederician activity in general. No sonnets by pre-Frederician writers are extant. There are extant four other sonnets by poets of the Frederician group; but there is in each case reason for thinking the poem later than the general body of Frederician verse. One is by King Enzo, who was born in 1225. See The Poetry of Giacomo da Lentino, ed. E. F. Langley, Cambridge, 1915. Sonnets III, V, VII, IX-XXX. Nos. XXVIII and XXX are attributed also, in one MS, to Monaldo d’Aquino; and No. XXIX is attributed in one MS to Petri Morovelli.”

 

 

 

Pubblicato da Enzo Sardellaro

Ho insegnato per molti anni letteratura e storia, e scrivo articoli e saggi relativi a questi settori.