Il teatro americano non esiste che in una città, New York

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Diceva Manlio Miserocchi, riguardo al  “meccanismo del teatro in America”, che esso  “non esiste che in una città, New York, e in questa città in una sola strada, Broadway. E come per i teatri i cinquanta stati dipendono da New York” (M. Miserocchi).  L’osservazione di Miserocchi  è pertinente, perché off-Broadway, ossia fuori dell’unico canale disimpegnato di Broadway non c’era niente, e, soprattutto, non c’era quel teatro d’avanguardia che si era sviluppato in Inghilterra con le performances di John Osborne e altri.

 

L’osservazione è giusta se riferita al 1959. A parte Miller, i primi anni ’60 negli Stati Uniti si aprirono con  l’affermazione di autori come Edward Albee, che, da americano verace, riconosceva la difficoltà di proporre al pubblico americano un teatro d’avanguardia, sullo stile di Beckett e Ionesco. Del resto era estremamente difficile far breccia presso un pubblico americano abituato ai prodotti commerciali di Broadway. Però proprio negli anni ‘60 iniziava  a prendere forma in America, pur tra molte difficoltà, un teatro off-Broadway.

 

Per esempio, proprio con la figura di Edward Albee, il quale sottolineò che i suoi lavori avevano ricevuto un sacco di rifiuti, tutt’altro che inaspettati,  “by a number of New York producers”. Ma  grazie ai buoni uffici di William Flanagan, dopo essere tornato a New York  nel gennaio del 1960, la sua opera entrò in produzione off-Broadway, “at the Provincetown  Playhouse, on a double bill with Samuel Beckett’s krapp’s Last tape” [presso la Playhouse di Provincetown, su un doppio spettacolo con L’ultimo nastro di krapp, di Beckett] (Albee, Preface, p. 8).

 

Edward Albee, che, alla stregua di John Osborne in Inghilterra si mise a criticare e a far satira sulla società americana, ottenne un primo successo di pubblico con The Zoo Story, del 1958, incentrato sul dramma della solitudine in una società definita “impossibile”, per poi proseguire con l’attacco al sogno americano (The American Dream), uno sforzo  di farsi capire  protestando contro la leggenda metropolitana che tutto va ben signora la marchesa “in questo nostro paese”.

La protesta fu enunciata nella prefazione a The American Dream:

“The play is an examination of the American scene, an attack on the substitution of artificial for real values in our society, a condemnation of complacency, cruelty, emasculation and vacuity, it is stand against the fiction that everything in this slipping land of ours is peachy-keen”. (Albee, Preface, pp. 53-54).

Ossia,

“La commedia vuol essere una riflessione sulla scena americana, un attacco contro la sostituzione di valori artificiali a quelli reali nella nostra società, una condanna della compiacenza, della crudeltà,  della mancanza di una critica graffiante e della vacuità; essa è contro l’ipocrisia per cui  tutto in questa nostra terra viaggia per il meglio”.

 

La denuncia di Albee proseguì poi con “La morte di Bessie Smith” [The Death of Bessie Smith], una cantante di colore che morì in seguito al rifiuto di accoglierla da parte di vari ospedali americani.  L’incomunicabilità tra le coppie e il problema dei figli fu affrontato in “Chi ha paura di Virginia Woolf” (Who’s Afraid of Virginia Woolf) e “Un equilibrio delicato” (A Delicate Balance) .

 

Come si può notare gli anni ’60 si aprirono in America all’insegna della protesta sociale. Tornando alla boutade iniziale di Manlio Miserocchi, è evidente che egli si riferiva pertanto all’assenza  ad un teatro d’avanguardia “impegnato” e non commerciale che potesse sussistere  fuori del circuito di Broadway.

 

Nel frattempo però gruppi di autori dettero vita ad esperienze diverse, anche se effimere, come quelle, per esempio, messe in atto con il Living Theatre da Julian Beck  e Judith Malina, che proposero un teatro con spettacoli pubblici a New York. Il Living, com’è noto, pur se ammirato, ebbe vita estremamente difficile soprattutto per le difficoltà finanziarie, riuscendo  comunque a presentare un repertorio ragguardevole di esperienze teatrali avanguardistiche, tese essenzialmente non soltanto a mutare il modo di recitare, ma anche la stessa società americana, alla ricerca di un “New Beginning” (un nuovo inizio), come urla insistentemente Julian Beck  nel video proposto:

 

“We insisted on experimentation that was an image for changing society. If one can experiment in theater one can experiment in life” [Abbiamo insistito su una sperimentazione che è un’immagine per cambiare la società. Se si può sperimentare in teatro, si  può anche sperimentare nella vita. ] ( The New York Times Biographical Service).

 

Fonti:

E. Albee, Two Plays by Edward Albee, The American Dream & The Zoo Story, Signet Book, 1961.

 

M. Miserocchi, “Teatro Americano”, in Nuova Antologia, 1959, pp. 65 sgg.

 

The New York Times Biographical Service, New York Times & Arno Press, settembre, 1985, p. 1096.

Pubblicato da Enzo Sardellaro

Ho insegnato per molti anni letteratura e storia, e scrivo articoli e saggi relativi a questi settori.