Ungaretti “mistico” tra parola e sentimento

Ungaretti

Ungaretti una volta scrisse in Le ragioni d’una poesia che “non  si trattava più di intendere la misura come mezzo per chiarirsi il sentimento del mistero; ma di spalancare gli occhi spaventati davanti alla crisi di un linguaggio, davanti all’ invecchiamento di una lingua”. Inoltre, diceva ancora Ungaretti, bisognava cercare “le ragioni di una speranza nel valore della parola”(G. Ungaretti, “Le ragioni d’una poesia”,  in Vita di un uomo. Tutte le poesie, a c. di L. Piccioni, Milano, Mondadori,  1969, p. LXXIII). Il saggio, variamente ripubblicato, risaliva al 1949, in anni quindi apparentemente lontani  dall’ Allegria, in cui emergevano i primi “sintomi ermetici” di Ungaretti: il linguaggio essenziale, la rottura del verso tradizionale, la parola evocativa.

 

Ma lo  “stacco” temporale è più apparente che reale, in quanto le Ragioni del 1949 costituivano una sorta di “assemblaggio” di saggi e riflessioni di Ungaretti già a partire dagli anni ’20. Pertanto Ungaretti si è soffermato spessissimo, nel corso di tutta la sua attività di poeta,  sul concetto secondo cui la parola riesce in qualche modo a cogliere qualcosa del mistero, diventando la stessa parola poetica veggenza dell’invisibile (G. Ungaretti, “Discorso sul ‘Don Chisciotte’ di Cervantes”, in Vita di un uomo. Saggi e interventi, a c. di M. Diacono e L. Rebay, Milano, Mondadori, 1974,  p. 511).

 

Eppure, in un altro passo Ungaretti scrisse:

 

“C’è inoltre un mistero irriducibile, qualunque sia l’altezza cui possa arrivare la scienza […] La mente non ci arriverà mai, ma per via di sentimento si può averne notizia” (G. Ungaretti, 1974, p. 197.).  Queste parole furono pronunciate da Ungaretti nel 1929, in una intervista a G.B. Angioletti in L’Italia letteraria (anno I, no. 11, 16, 6, 1929, p. 1).

 

E allora, al mistero ci si arriva attraverso la parola o attraverso il sentimento?

 

Le cose sono soltanto apparentemente in contraddizione, e  l’una non esclude l’altra.

 

“Sentimento” deriva dal latino “sentio”, “sentire”. G. Della Volpe osservava che Hessen acutamente definiva  “sentire” come “Wertgefül”, “sentimento dei valori (le idee eterne)”. Quando Ungaretti parlava di  sentimento (“Sentimento del tempo”) si riferiva quasi ad un atto mistico, ad una “intuizione” del “divino”: il mistero.  E quando Ungaretti osservava che attraverso la mente non si arriverà mai al mistero, egli recuperava il concetto agostiniano di “insufficienza della nostra mente di fronte alla realtà divina”, che resta sempre razionalmente incognita (sconosciuta). Dimodoché Ungaretti, poeta e credente, arrivò al mistero attraverso un excessu spiritus, quod graece dicitur ‘ecstasis’ [un ‘eccesso’ dell’anima, che in greco è detto estasi]. (Le citazioni sono tratte da G. Della Volpe, “Eckhart: o Della filosofia mistica”, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1932,  p. 30 e note).

 

Una volta intuito “qualcosa” del mistero, occorreva però anche esprimerlo a parole: qui stava l’enorme difficoltà di cui Ungaretti era perfettamente consapevole; per cui “scavare” fino a trovare “quella” parola che indicasse sia pure “per aenigmitate” il  mistero fu il lavoro spossante di Ungaretti per tutta la vita. L’ “ermetismo” di Ungaretti nasceva dunque sia da una rivisitazione “moderna” degli sviluppi della poesia e dell’arte del suo tempo, ma anche da una riflessione cristiano-mistica dell’essere “poeta”, che lo condusse alla conversione alla fede cristiana nel 1928.

 

 

 

 

 

 

Pubblicato da Enzo Sardellaro

Ho insegnato per molti anni letteratura e storia, e scrivo articoli e saggi relativi a questi settori.